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Rione San Pietro |
La Pietra del Banco del Pesce
Nel medioevo in molte città italiane per condannare i bancarottieri, i commercianti e debitori insolventi era in uso praticare la “dichiarazione di fallimento”. Sulla pubblica piazza, alla presenza dei creditori e del popolo, i falliti, beffeggiati e offesi, vestiti con la sola camicia e le braghe (in alcuni casi a natiche scoperte e con la testa rasata), venivano costretti a sedersi sulla “pietra del vituperio o dei falliti” e a pronunciare ripetutamente ad alta voce la frase “cedo bonis “ (rinuncio ai miei beni). Questo tipo di pena, più morale che fisica, era ritenuta efficace perché non aveva il solo scopo di esporre il responsabile a pubblico ludibrio, ma serviva a definire la posizione debitoria dell'insolvente mettendo tutti a conoscenza del fatto che era soggetto inaffidabile, da cui guardarsi. Anche ad Asti, città di notevole rilievo nel settore bancario e commerciale, falliti e debitori insolventi erano duramente perseguiti. L'attuale piazza Statuto, che ancora oggi conserva l'imponente struttura medioevale del Palazzo degli Antichi Tribunali, già dai primi secoli del medioevo era sede di uno dei più importanti mercati astigiani. Qui veniva eseguito l’umiliante procedimento della pubblica rappresentazione dell'insolvenza. Nel centro della piazza era posta la “Pietra del Banco del Pesce”(oggi collocata in verticale nell'atrio del Palazzo Civico), sulla quale, nei giorni di mercato, veniva inflitta questa pena infamante. Il Rione S. Pietro intende ricostruire la punizione di un debitore insolvente nella Asti di metà del XV secolo: castigo umiliante che, se lasciava in vita il condannato, ne causava la morte sociale.