SICILIA
N jornu ca Diu Patri era cuntenti e passiava 'n celu cu li Santi,
a lu munnu pinsau fari un prisenti e da curuna si scippau 'n domanti;
cci
addutau tutti li setti elementi, lu pusau a mari 'n facci a lu livanti:
lu chiamarunu "Sicilia" li genti, ma di l'Eternu Patri e' lu diamanti.
La Sicilia
è l'isola più grande del mar Mediterraneo. A nord si affaccia sul mar
Tirreno, a est è divisa dalla penisola italiana dallo stretto di Messina ed
è bagnata dal mar Ionio e a sud-ovest è divisa dall'Africa dal canale di
Sicilia.
La Sicilia ha una forma "triangolare" i cui vertici sono: Capo Peloro (o
Punta del Faro) a Messina, al vertice nord-orientale, Capo Boeo (o Lilibeo)
a Marsala, al vertice nord-occidentale, Capo Passero a Portopalo, al vertice
sud.
La Sicilia appartiene alla placca africana, con l'eccezione della parte
nord-orientale che appartiene a quella placca euroasiatica. Lo scorrimento
della placca africana che per subduzione si immerge sotto quella
euroasiatica ha determinato la creazione dei rilievi montuosi della regione,
nonché la presenza di frequenti attività sismiche sia di origine tettonica
che vulcanica.
Tra 5.96 e 5.3 milioni di anni, durante il Messiniano (ultima fase del
periodo Miocene), il Mediterraneo rimase isolato dall'oceano Atlantico
probabilmente a causa di un aumento dell'attività tettonica. Ciò portò alla
crisi di salinità: il mar Mediterraneo iniziò ad evaporare più velocemente e
la concentrazione del sale aumentò. Carbonati e solfati vennero depositati
in grandi quantità sui fondali e ne è rimasta traccia a lungo nelle miniere
di salgemma e gesso che si possono trovare tuttora nelle province di
Agrigento, Caltanissetta ed Enna.
Un fenomeno geologico peculiare è il vulcanesimo sedimentario delle Macalube
di Aragona, in provincia di Agrigento. Questo raro fenomeno ha creato la
cosiddetta collina dei Vulcanelli, un'area brulla, di colore dal biancastro
al grigio scuro, popolata da una serie di vulcanelli di fango, alti intorno
al metro. Il fenomeno è legato alla presenza di terreni argillosi poco
consistenti, intercalati da livelli di acqua salmastra, che sovrastano bolle
di gas metano sottoposto ad una certa pressione. Il gas, attraverso
discontinuità del terreno, affiora in superficie, trascinando con sé
sedimenti argillosi ed acqua, che danno luogo ad un cono di fango, la cui
sommità è del tutto simile ad un cratere vulcanico. Il fenomeno assume
talora carattere esplosivo, con espulsione di materiale argilloso misto a
gas ed acqua scagliato a notevole altezza.
A causa della sua posizione, a cavallo delle due importanti placche
tettoniche, la regione e le isole circostanti sono interessate da un'intensa
attività vulcanica. I vulcani siciliani più importanti sono: Etna, Stromboli
e Vulcano.
Essi hanno la singolarità di appartenere a tre tipologie differenti:
eruzioni di lave basaltiche intervallate a periodi di calma il primo;
eruzioni continue, e fontane di lava, il secondo, le cui caratteristiche
sono state prese come modello tipologico dagli scienziati del settore, che
hanno coniato il termine tipo stromboliano per designare le attività
similari dei vulcani terrestri; infine di tipo esplosivo o pliniano il
terzo, caratterizzato da lunghi periodi di apparente calma ed eruzioni
violente.
Tra i vulcani siciliani si considerano inoltre quello sottomarino Empedocle,
attivo e situato nella zona del Canale di Sicilia oggi denominata "Banco di
Graham", la cui attività eruttiva nel XIX secolo portò alla comparsa e
successiva scomparsa dell'effimera Isola Ferdinandea, e quello al largo di
Riposto, scoperto nel 2009 dai ricercatori della facoltà di Scienze
geologiche dell'Università di Catania. Esso si troverebbe ad 80 metri di
profondità, in un tratto di mare tra i paesi di Riposto e Acicastello;
strutturalmente ricorda le linee dell'Etna, con uno sprofondamento che a
partire dai 500 metri sotto il livello del mare continua ad inabissarsi fino
ai 2500 metri di profondità. Il diametro massimo della caldera sommersa è di
20 chilometri: a paragone l'attuale Valle del Bove dell'Etna è di soli 7
chilometri.
Di forma triangolare, la Sicilia ebbe nell'antichità il nome di Trinacria e
Triquetra. Ha una notevole estensione costiera (1.483,9 km), con oltre 1000
km di coste dell'isola maggiore cui vanno aggiunti i 500 km circa delle
isole minori: la Sicilia è, dietro la Sardegna, la regione con la più ampia
estensione costiera e da sola rappresenta circa un quinto dell'estensione
costiera dello Stato italiano, benché occupi solo l'8% della sua superficie.
Le coste settentrionali, alte e rocciose, si aprono sul Mar Tirreno con
frequenti ed ampie insenature, come i golfi di Castellammare del Golfo, di
Palermo, di Termini Imerese, di Patti, di Milazzo. Lingue di terra si
protendono per molti chilometri sul mare, come nel caso di Capo San Vito e
Capo Milazzo. Ad est la costa ionica è più varia; strette spiagge di ghiaia
fin quasi a Taormina e fra la foce del fiume Alcantara e Riposto;
frastagliata verso sud, con insenature e baie come quella di Giardini Naxos;
laviche come ad Acireale, e di aspre scogliere basaltiche fino a Catania.
L'ampio golfo di Catania presenta una spiaggia di sabbia dorata ma al suo
termine la costa riprende ad essere rocciosa con una serie di fiordi tra cui
quello di Brucoli. Quindi l'ampia baia di Augusta, che ospita il più grande
porto commerciale della Sicilia, e il golfo di Siracusa nel quale la costa
riprende ad essere sabbiosa fino quasi a Capo Passero. L'esteso litorale
meridionale, caratterizzato prevalentemente da una costa bassa e sabbiosa,
presenta un'unica rientranza di rilievo: il golfo di Gela sul quale si
affacciano ben tre province: Agrigento, Caltanissetta e Ragusa. Le spiagge
del sud della Sicilia sono generalmente ampie, sabbiose e spesso
dall'aspetto selvaggio, talvolta incorniciate da suggestive scogliere
bianche, come nel caso di Scala dei Turchi o di Eraclea Minoa. Nel 2011 i
comuni di Fiumefreddo di Sicilia, Ispica, Lipari, Menfi, Pozzallo e Ragusa
sono stati insigniti della Bandiera Blu della FEE.
STORIA MODERNA
...con Ferdinando il Cattolico figlio di Giovanni, re di Aragona e di
Sicilia, che riunì la Spagna sotto il suo governo, si ebbe di nuovo, per la
conquista del Napoletano (1501-03) da lui operata contro la Francia, la
riunione dei due regni alla corona di Spagna, rimanendo però distinte col
titolo di Regno di Napoli e Regno di Sicilia. Prevalentemente a Palermo,
risiedé un viceré. Gli spagnoli governarono in Sicilia come nelle altre
province dell'impero: vennero a mano a mano ridotte le attribuzioni del
parlamento. Inoltre gli spagnoli monopolizzarono il commercio del grano,
accrescendo la decadenza economica della Sicilia. Queste condizioni
produssero rivolte, di cui si ebbe una serie a Palermo, contemporanea a
quelle di Napoli, di Masaniello e a quella in Sardegna: quella di Nino della
Pelosa, che fu messo a morte; quella di Giuseppe D'Alesi. Il viceré e i
nobili riuscirono a suscitare una sommossa popolare contro l'Alessi, in cui
questi fu ucciso; e il popolo, privo di un capo, fu domato. Seguirono altri
moti, e in ultimo, sul finire del 1649, una congiura che ebbe per capi due
eloquenti avvocati, Antonio Lo Giudice e Giuseppe Pesce: la congiura fu
scoperta e i due uccisi. Più tardi fu Messina ad insorgere (1674) mettendosi
sotto la protezione di Luigi XIV; ma, quando questi pensò a far la pace con
l'alleanza dell'Aia, ordinò lo sgombero della città (aprile 1678), che
ritornò così sotto la Spagna.
Con la pace di Utrecht (1713) il Regno di Sicilia fu dato a Vittorio Amedeo
II di Savoia che in brevissimo tempo divenne inviso ai siciliani per la sua
esosità.
La Spagna sotto la direzione dell'Alberoni tentò di riconquistare i domini
italiani e nel 1718 un esercito sbarcò in Sicilia occupandola. La formazione
immediata della Quadruplice alleanza costrinse la Spagna a recedere dal suo
proposito; e allora la Sicilia fu ceduta all'Austria, che non aveva cessato
di reclamarla, passava sotto quella potenza per la ricordata pace di
Utrecht. Il figlio di secondo letto di Filippo V, della nuova dinastia
borbonica di Spagna, Don Carlos, durante la guerra di Successione polacca
compì (1734) una spedizione vittoriosa nel regno che riacquistò in lui un re
indipendente, pur essendo strettamente legato politicamente alla Spagna.
Sotto di lui (Carlo III, 1734-1759) e sotto il figlio Ferdinando IV, finché
fu al governo il Tanucci, si ebbe un indirizzo riformatore. Dopo il ritiro
del Tanucci e soprattutto dopo l'inizio della Rivoluzione Francese prevalse
un indirizzo reazionario: questo non fece che favorire nella gente colta lo
sviluppo delle nuove idee (il cosiddetto giacobinismo). A Palermo si ebbe
nel 1795 la congiura del repubblicano Francesco Paolo Di Blasi. Nel 1799 e
poi nel 1806-1814 Ferdinando III, per le pressioni dell'Inghilterra,
concesse alla Sicilia nel 1812 una nuova costituzione con le due camere dei
Pari e dei Comuni, di tipo inglese.
Ferdinando III era stato costretto a concedere la costituzione anche dal
fatto che la nobiltà, di dubbia devozione, aveva abbandonato la monarchia.
Così, il sovrano era rimasto quasi isolato e non aveva potuto resistere alle
pressioni del rappresentante inglese a Palermo, Lord Bentinck. Questo spiega
la soppressione del parlamento attuata dal re il 15 maggio 1815, non appena
fu sicuro del suo ritorno sul trono di Napoli, e il decreto dell'8 dicembre
1816 con cui ordinava che tutti i suoi domini al di là e al di qua del Faro,
cioè i due regni, sino allora distinti, di Napoli e di Sicilia, dovessero
formare l'unico Regno delle due Sicilie. Quasi contemporaneamente procedeva
all'abolizione delle libertà e delle franchigie della Sicilia, delle sue
leggi, dei suoi ordinamenti, della sua zecca e delle sue magistrature. Ma
una simile condotta destò subito nell'isola una viva opposizione, che
condusse alla rivolta scoppiata nel luglio del 1820, subito dopo quella di
Napoli: qui la Carboneria e i militari napoleonici avevano chiesto e
ottenuto la costituzione, mentre a Palermo si voleva il riconoscimento
dell'indipendenza siciliana. Tuttavia questa richiesta non trovò ascolto
neppure presso il nuovo parlamento napoletano, e anche i deputati videro
nell'indipendenza dell'isola il perpetuarsi dei privilegi feudali più che la
garanzia di una vita libera. Sicché si disposero a sottomettere con la forza
Palermo e sconfessarono la convenzione firmata da Florestano Pepe il 5
ottobre, invitando Pietro Colletta che ben presto ebbe ragione della
resistenza dei siciliani.
Il particolarismo palermitano non aveva affatto giovato alla rivoluzione
napoletana, che si era anzi dovuta logorare nel grave e difficile problema
interno. D'altronde, anche quella rivoluzione era piuttosto un ricordo del
periodo napoleonico che un'anticipazione dei moti risorgimentali e,
pertanto, neppure essa poté resistere a lungo all'esercito austriaco. Negli
anni seguenti, che furono gli anni centrali della Restaurazione, Ferdinando
I, Francesco I e, soprattutto, Ferdinando II, salito al trono nel 1830,
cercarono di temperare il loro governo con un paternalismo, in diverse
occasioni, moderato e che voleva apparire desideroso di nuovi metodi. Ma
questo non impedì che si susseguissero diverse congiure, fra le quali la più
nota è quella del 1 settembre 1831, in cui gli insorti, guidati da Domenico
di Marco e appartenenti in maggioranza al ceto degli artigiani (che, allora,
erano legati alla nobiltà), percorsero Palermo chiedendo la costituzione.
Nel 1837 un'altra rivoluzione scoppiava a Catania e a Siracusa, favorita
dalle condizioni in cui versavano le popolazioni colpite dalla carestia e
dal colera. Meno avvertita fu in quest'ultimo moto l'esigenza
dell'autonomia, che invece continuava ad essere sentita a Palermo, come
dimostrò la rivoluzione del 12 gennaio 1848, una rivoluzione che precedette
tutte le altre che scoppiarono in quell'anno, ma che pure non esercitò
grande influenza proprio perché ancora animata dallo spirito d'indipendenza
isolana.
In un primo momento la Sicilia sperò di riuscire ad ottenere da Ferdinando
II una costituzione separata, ma il parlamento, radunatosi il 25 marzo,
dovette prendere atto del preciso rifiuto del re e allora dichiarò,
nell'aprile, decaduta la monarchia borbonica e, dopo aver conferito a
Ruggero Settimo, capo del governo provvisorio, la reggenza, facendo uso dei
diritti di “Stato sovrano e indipendente”, scelse il nuovo re nella
persona di Alberto Amedeo di Savoia, duca di Genova e figlio di Carlo
Alberto. La Sicilia troppo apertamente trasferiva sul piano italiano le sue
aspirazioni di indipendenza, mostrando d'intendere la sorte della penisola
come una confederazione di liberi stati. Approfittando dell'isolamento in
cui si trovava la Sicilia, fu più facile al Borbone, vittorioso a Napoli sul
parlamento nella giornata del 15 maggio, condurre la lotta contro la
Sicilia; nel settembre, Messina, lungamente bombardata dovette cedere ed
entro il 1848 le truppe napoletane completavano l'occupazione della costa
orientale, investendo poi, nel nuovo anno, Palermo. Nel 1849, la resistenza
che questa città condusse per diverso tempo apparve troppo ai patrioti che
ancora combattevano a Roma e a Venezia sotto una diversa luce perché tutti
si sentivano legati allo stesso destino e la causa di uno era la causa di
comune. Ma ormai non c'era più nulla da fare di fronte alla reazione che
stava per trionfare in Italia e in Europa: il 15 maggio 1849 Ferdinando II
ritornava in possesso di Palermo e, conseguentemente, di tutta l'isola. Era
stata un'amara esperienza, che però diede i suoi frutti nel decennio
successivo, quando l'opinione pubblica siciliana si orientò, come avveniva
nelle altri parti della penisola, verso il Piemonte e il Cavour.
Alcune insurrezioni rivelarono qual era lo stato d'animo dei Siciliani,
finché il 4 aprile 1860, scoppiò la rivolta, capeggiata da Francesco Riso,
che fu detta del convento della Gancia. Le truppe borboniche ne ebbero
abbastanza facilmente ragione, ma essa offrì il modo a Crispi di dimostrare
a Garibaldi come l'isola fosse pronta ad accogliere la spedizione che questi
aveva in animo di fare, dopo però che il popolo siciliano si fosse
sollevato. La campagna nell'isola contro le forze borboniche fu molto più
rapida di quanto si credesse: il 14 maggio da Salemi Giuseppe Garibaldi
assumeva la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II; il
giorno dopo sconfiggeva il nemico a Calatafimi, aprendosi la via per
Palermo, ove giungeva il 27 maggio. Il 2 giugno il generale formava un
ministero, nel quale la figura predominante era il Crispi e, poco dopo,
scacciava dall'isola l'inviato di Cavour, il La Farina, ma accettava la
collaborazione del Depretis, pure inviato da Cavour, nominandolo anzi
prodittatore. Con la battaglia di Milazzo del 20 luglio tutta la Sicilia era
conquistata e la spedizione continuava nel continente.
Tuttavia una non indifferente parte della classe dirigente insulare era
contraria ad un'annessione pura e semplice e avrebbe voluto conservare
l'autonomia, ma Cavour, facendo votare per la fusione, infranse queste
aspirazioni. Il popolo, tradito nelle promesse di riforma (soprattutto
agraria) e dai sorprusi dei nuovi governanti, ebbe maggiormente a soffrire
dell'unità, e, pertanto, alimentò quello che fu detto il fenomeno del
brigantaggio, fenomeno sociale di ribellione, appunto, al nuovo dominio.
Tale situazione portò alla rivolta di Palermo del settembre del 1866, in cui
si trovarono unite a combattere il governo della Destra e le due
opposizioni: da un lato il clero e le classi popolari e dall'altro i
democratici e repubblicani, che raccoglievano parte della borghesia delusa
dell'unità. Per sette giorni Palermo fu tenuta sotto scacco dagl'insorti e
si dovette mandare il generale Raffaele Cadorna per aver ragione della
rivolta, venuta alla storia come del 7 e mezzo.
Dal 1886 al 1894 le condizioni dell'isola invece di migliorare peggiorarono,
soprattutto in conseguenza delle leggi economiche del governo piemontese,
favorente l'economia settentrionale, e della rottura dei rapporti
commerciali con la Francia nel 1887 che danneggiò notevolmente l'agricoltura
meridionale. Nelle campagne il disagio dei contadini era aggravato
dall'occupazione piemontese delle terre demaniali, che destò una viva
resistenza e che portò al tragico episodio di Caltavuturo (gennaio 1893),
quando le truppe governative spararono sui contadini uccidendone undici,
mentre nelle campagne e nelle zolfare gli operai chiedevano o lavoro o
aumento dei salari. Intanto, a cominciare dal 1890-91, la propaganda
socialista era penetrata nell'isola ed erano sorti, numerosi, i Fasci dei
lavoratori. Il movimento, che si estendeva sempre più, favorito dalla
cattiva situazione economica, fu affrontato dal secondo governo del
siciliano Francesco Crispi con la forza: fu decretato lo stato d'assedio e
sospesa la libertà di stampa, furono sciolti i Fasci e gli arrestati
deferiti ai tribunali militari. Le condizioni dell'isola non migliorarono
granché, neppure durante il decennio giolittiano che anzi, col protezionismo
industriale, peggiorò la situazione del Meridione in grande prevalenza
agricolo. Dopo Crispi un altro siciliano fu presidente del Consiglio:
Antonio di Rudinì. Nel Novecento lo saranno anche Vittorio Emanuele Orlando
e Mario Scelba.
Dopo la prima guerra mondiale anche in Sicilia, come nelle altre regioni del
Sud, frequenti furono le invasioni dei terreni da parte dei contadini
affamati di terra e desiderosi di strapparne un pezzetto al feudatario o al
grosso latifondista. Ma il regime totalitario non riuscì a risolvere nessuno
dei problemi siciliani (nemmeno quello della mafia, che pure si vantò di
aver estirpato), sicché tutti quei problemi si ritrovarono immutati dopo la
seconda guerra mondiale. Gli sbarchi anglo-americani, nel luglio del 1943,
provocarono danni notevoli e solo lentamente la Sicilia si risollevò. Il
generale britannico Harold Alexander, che nella sua veste di comandante
supremo dell'armata era anche governatore militare delle zone occupate, ma
il vero responsabile era il colonnello Charles Poletti, capo dell'Ufficio
Affari civili dell'AMGOT. Nel febbraio 1944 gli Alleati riconsegnarono
l'isola al governo italiano del Regno del Sud, che nominò un Alto
commissario. Intanto, però, riprendeva forza l'antica tendenza
all'indipendenza ed all'autogoverno, che nel secolo scorso aveva spinto i
siciliani a chiedere il distacco dall'Italia. Si sviluppò il movimento
separatista. Esso tenne agitata la vita dell'isola per diversi anni, finché
si andò spegnendo, anche per l'istituzione, con il Decreto regio 15 maggio
1946, della Regione Siciliana, che concedeva lo statuto speciale
d'autonomia.
Nell'aprile del 1947 veniva eletto il primo parlamento siciliano, che il 30
maggio eleggeva il primo governo regionale.
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