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SAN MARTINO SAN ROCCO - Le lusinghe dei sette vizi capitali - La cultura del medioevo è attraversata dal tema del peccato: gli uomini e le donne sono continuamente minacciati dalle insidie del diavolo tentatore che instilla nel loro animo le stesse lusinghe e gli stessi dubbi con cui ha sedotto i progenitori Adamo ed Eva. Inizialmente i vizi erano otto, poiché comprendevano anche la vanagloria, che successivamente venne assorbita nel peccato di superbia: si passò così al settenario dei vizi capitali, del quale Enrico di Susa propose una nuova successione, dal più grave al meno grave, facilmente memorizzabile con l'acronimo delle loro iniziali, SALIGIA (Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira e Accidia). Il ruolo di capostipite di tutti i vizi conferito alla superbia ribadisce l'analogia tra il peccato di Adamo e le colpe che gli uomini commettono quotidianamente. I sette vizi venivano spesso raffigurati sulle mura di pievi, chiese e cappelle per poter esser visti da tutti e fungere da monito e da invito alla penitenza: le pitture erano infatti immediatamente comprensibili per il cuore e la coscienza dei semplici, che ignoravano la scrittura. Tipico dell'arco alpino occidentale e in particolare del Piemonte e della Liguria è il tema della cavalcata dei vizi in cui sette personaggi, che li simboleggiano, cavalcano altrettanti animali, simbolo degli stessi vizi, trascinati da una lunga catena tirata da figure diaboliche verso le fauci spalancate di un drago, che rappresenta la bocca dell'inferno. Gli Astigiani non erano certo indenni dalle lusinghe dei vizi: essendo impegnati nel mercato del prestito sovente rischiavano di incorrere nel peccato di usura, primogenito dell'avarizia, tanto che la preoccupazione e talvolta il pentimento li portavano a risolvere, in punto di morte, i loro scrupoli morali con donazioni in restituzione del "maltolto". L'ostentazione da parte delle nobili famiglie delle proprie ricchezze era sicuramente segno di superbia, così come le irose lotte intestine tra casate, che portavano addirittura all'abbassamento delle torri della parte soccombente, erano dettate dall'invidia e dalla sete di potere, mentre la lussuria e la gola certamente animavano le notti della città.

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SfilataPalio_204.JPG - SAN MARTINO SAN ROCCO - Le lusinghe dei sette vizi capitali - La cultura del medioevo è attraversata dal tema del peccato: gli uomini e le donne sono continuamente minacciati dalle insidie del diavolo tentatore che instilla nel loro animo le stesse lusinghe e gli stessi dubbi con cui ha sedotto i progenitori Adamo ed Eva.Inizialmente i vizi erano otto, poiché comprendevano anche la vanagloria, che successivamente venne assorbita nel peccato di superbia: si passò così al settenario dei vizi capitali, del quale Enrico di Susa propose una nuova successione, dal più grave al meno grave, facilmente memorizzabile con l'acronimo delle loro iniziali, SALIGIA (Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira e Accidia).Il ruolo di capostipite di tutti i vizi conferito alla superbia ribadisce l'analogia tra il peccato di Adamo e le colpe che gli uomini commettono quotidianamente.I sette vizi venivano spesso raffigurati sulle mura di pievi, chiese e cappelle per poter esser visti da tutti e fungere da monito e da invito alla penitenza: le pitture erano infatti immediatamente comprensibili per il cuore e la coscienza dei semplici, che ignoravano la scrittura.Tipico dell'arco alpino occidentale e in particolare del Piemonte e della Liguria è il tema della cavalcata dei vizi in cui sette personaggi, che li simboleggiano, cavalcano altrettanti animali, simbolo degli stessi vizi, trascinati da una lunga catena tirata da figure diaboliche verso le fauci spalancate di un drago, che rappresenta la bocca dell'inferno.Gli Astigiani non erano certo indenni dalle lusinghe dei vizi: essendo impegnati nel mercato del prestito sovente rischiavano di incorrere nel peccato di usura, primogenito dell'avarizia, tanto che la preoccupazione e talvolta il pentimento li portavano a risolvere, in punto di morte, i loro scrupoli morali con donazioni in restituzione del "maltolto".L'ostentazione da parte delle nobili famiglie delle proprie ricchezze era sicuramente segno di superbia, così come le irose lotte intestine tra casate, che portavano addirittura all'abbassamento delle torri della parte soccombente, erano dettate dall'invidia e dalla sete di potere, mentre la lussuria e la gola certamente animavano le notti della città.

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