MOSTRA: UNA INFINITA BELLEZZA
IL PAESAGGIO IN ITALIA DALLA PITTURA ROMANTICA ALL’ARTE CONTEMPORANEA.
Venaria Reale, 21 Giugno 2021
Ripercorrendo, in estrema sintesi, tutto il percorso espositivo, articolato in 12 sezioni, ci accorgiamo di quante e quali forme abbia assunto la rappresentazione del paesaggio d’Italia nell’arco di oltre due secoli. La riscoperta della Natura, favorita dalla sua centralità nella cultura illuminista, sollecita un diverso sguardo sul paesaggio e di conseguenza una sua diversa rappresentazione. Considerato all’interno della formazione accademica con mera funzione gregaria nella gerarchia dei generi pittorici, il paesaggio assume a partire dalla fine del Settecento lo status di soggetto autonomo. Un mutamento cui contribuiscono molti fattori, legati soprattutto agli stimoli che gli artisti traggono dalla riflessione estetica, filosofica e letteraria dell’incipiente Romanticismo: da queste sollecitazioni nasce il desiderio di esplorare soluzioni diverse da quelle dettate dai canoni dell’ordine e della grazia che regolavano il Bello ideale winckelmanniano.
Ad avviare il percorso è il prezioso nucleo di tempere e acquerelli di Giuseppe Pietro Bagetti e di Giovanni Battista De Gubernatis, in cui la precoce attrazione per gli aspetti transitori e instabili della natura, che anticipa la sensibilità romantica, convive con vedute dalla precisione ottica, memori della tradizione topografica. Un aspetto che caratterizza i primi decenni dell’Ottocento è la necessità fortemente sentita dagli artisti del nord Europa di completare la propria formazione in Italia seguendo la tradizione del Grand Tour, al fine di perfezionare la pittura dal vero: esemplare in questo senso il dipinto di Jean-Baptiste Camille Corot con la Cascata delle Marmore, unica opera dell’artista francese presente in una collezione pubblica italiana. Si passa quindi agli spunti paesaggistici che Massimo d’Azeglio, Luigi Basiletti e gli artisti della Scuola di Posillipo, da Pitloo a Giacinto Gigante, traggono nelle campagne e sulle coste tra Roma a Napoli alla ricerca dell’abbagliante luce mediterranea.
Un capitolo è dedicato alle novità dei paesaggi “istoriati” con elementi ripresi da storia e letteratura, che trionfano nella Milano romantica di d’Azeglio e Giuseppe Bisi. Un’altra sezione considera i paesaggi di grande formato acquistati e donati per la collezione del neo istituito nel 1863 Museo Civico di Torino, in cui primeggiano le opere di Carlo Pittara, Giuseppe Camino, Corsi di Bosnasco e Achille Vertunni.
I molti artisti e le scuole della seconda metà dell’Ottocento vengono letti anche attraverso il filtro degli esiti che si confrontano nelle grandi Esposizioni Nazionali, a partire dalla prima tenutasi a Firenze nel 1861: dalle visioni poetiche di Antonio Fontanesi a quelle di Nino Costa, dalla ricerca di verità presente nelle piccole tele dei Macchiaioli, in cui il paesaggio è reso con immediatezza verista attraverso la luce e le macchie di colore, alla Scuola di Rivara e alla Scuola Grigia di Rayper e d’Andrade. Così dalle esperienze che privilegiano la fedeltà alla Natura si giunge alle nuove sensibilità divisioniste e simboliste tramite le opere di Angelo Morbelli e Pellizza da Volpedo per arrivare ai più celebri Gaetano Previati, Pietro Fragiacomo e Giovanni Segantini, in cui il paesaggio è interpretato con presupposti poetici e lirici dai forti contenuti allegorici ed evocativi.
Il Novecento si apre con una sezione che raduna opere di cultura secessionista, simbolista e post impressionista: la Galleria Civica di Torino ha continuato, infatti, a collezionare opere eleganti e raffinate sul tema del Paesaggio con artisti come Luigi Onetti, Giuseppe Bozzalla e Giovanni Depetris. Emerge, quindi, una linea, se non di continuità, di interesse ancora attuale per l’iconografia “paesaggio”, con qualche eccezione, per esempio in ambito futurista, considerando che questo movimento d’avanguardia si batteva “Contro il paesaggio e la vecchia estetica”. In mostra l’artista che emerge con maggiore evidenza sotto questo profilo è Giacomo Balla, con opere sia pre-futuriste, sia futuriste. Non si poteva eludere, infine, la presenza di Giorgio de Chirico con un capolavoro pre-concettuale, più ancora che metafisico, di quadro nel quadro.
Molto ricca è la sezione della pittura tra le due guerre mondiali. Le presenze più forti sono quelle di Carlo Carrà - con la sua visione neo-antica, addirittura pre-rinascimentale, dopo le stagioni futurista e metafisica - Giorgio Morandi, con i suoi paesaggi decantati, e Filippo de Pisis, alfiere di una libertà di pittura senza condizionamenti. Una qualche attenzione al paesaggio è presente anche nel grande pittore torinese Felice Casorati ed alla rappresentazione paesaggistica si dedicano, in molte opere di qualità, i Sei di Torino: da Gigi Chessa a Enrico Paulucci. Sul piano nazionale, accanto a Carrà, si muovevano sullo stesso solco Arturo Tosi e Pio Semeghini.
Negli anni del dopoguerra italiano sorprende il verificare come il tema del paesaggio abbia coinvolto persino i maggiori artisti informali, con esiti intensi, fisici e perfino materici: da Renato Birolli, a Ennio Morlotti, Alfredo Chighine, sino a Luigi Spazzapan. Non mancano restituzioni iconografiche del tema anche nell’alveo della Pop Art italiana, pur votata a scrutare segni e simboli della vita moderna, tramite Mario Schifano e la natura artificiale di Piero Gilardi.
Il percorso si conclude con l’arte contemporanea che dialoga con l’ambiente e il paesaggio, come accade in modo emblematico nei Giardini della Reggia con le Sculture Fluide di Giuseppe Penone, l’installazione concettuale di Giovanni Anselmo e la scultura bronzea Gea di Luigi Stoisa. Mentre all’interno della Citroniera juvarriana scopriamo le sculture di Luigi Mainolfi, Ezio Gribaudo, Luisa Valentini, Jessica Carroll, Maura Banfo, Luca Pancrazzi, le fotografie su seta di Elisa Sighicelli e il decollage di Stefano Arienti, la grande videoinstallazione Orbite Rosse di Grazia Toderi, i dipinti di Francesco Casorati, Francesco Tabusso, Nicola De Maria, Mimmo Paladino, Salvo, Giovanni Frangi, Riccardo Taiana, Luisa Rabbia, Laura Pugno, Paolo Leonardo, Daniele Galliano, Pierluigi Pusole, Andrea Massaioli, Velasco Vitali e le fotoinstallazioni dedicate ai nonluoghi delle periferie industriali di Botto & Bruno. Quest’ultima sezione comprende alcune opere realizzate appositamente per la mostra sul tema del paesaggio circostante la Reggia di Venaria da Ugo Nespolo e Giorgio Ramella, con un omaggio finale al Monviso, emblematica montagna piemontese, dalla cui falde nasce il Po, che viene celebrato con una singolare collezione di dipinti realizzati da tanti svariati pittori dell’800 e del ‘900 riuniti dalla moglie di Salvo, Cristina Tuarivoli.
Foto Renato Valterza
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