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Foto: Renato Valterza © 2022



MOSTRA THE GOLDEN AGE OF RALLY

MAUTO Museo dell'Automobile 27 ottobre 2022 - 2 maggio 2023

 

Torino, 26 Ottobre 2022

Questa mostra è semplicemente fantastica e da non perdere per chi è veramente appassionato di Automobilismo. Spero che le mie immagini riescano a rendere l’idea della sua grande qualità per permettermi di ricordare qui, con le parole, un episodio eccezionale della storia di quella GOLDEN AGE di cui fui testimone, storia che forse pochi conoscono.

MONTECARLO 1972, 50 ANNI DOPO: MUNARI E QUELL'IMPRESA CON LA LANCIA FULVIA

Sono passati 50 anni dall'impresa di Sandro Munari e Mario Mannucci sulle strade innevate di Montecarlo, quando con la Lancia Fulvia HF 1600 la squadra diretta da un giovane Cesare Fiorio riuscì a sbaragliare la concorrenza di Alpine, Porsche e Ford

ll significato del Montecarlo 1972 è profondo, storico al limite del leggendario. Non è assolutamente vero che le vittorie sono tutte uguali, figurarsi quelle ottenute contro ogni pronostico e con una valenza che esula dal semplice traguardo sportivo.

La mattina del 28 gennaio di 50 anni fa, Sandro Munari e Mario Mannucci scrivevano la storia dei rally, marchiando a fuoco la lunga tradizione del rally di Montecarlo. L'edizione del 1972 è sicuramente quella più struggente tra tante altre pagine di storia, per il semplice motivo che quella volta non fu solo una strepitosa affermazione di Munari e del suo copilota, no; fu un trionfo di popolo, con l'orgoglio italiano a svolazzare insieme a quelle bandiere che, quella mattina, accompagnarono gli ultimi chilometri del Drago verso un traguardo da libro d'epica.

Alla vigilia tutti parlano dell'Alpine, che pare aver già prenotato la vittoria. Tra i francesi ed il successo, si dice, c'è solo la Porsche, della quale si potrebbe dire la stessa cosa, a parti invertite: tra la Porsche ed il successo c'è solo l'Alpine. Perché sì, sulla carta dovrebbe essere un confronto tra francesi e tedeschi, ammesso e non concesso l'inserimento della Ford, competitiva sì ma, forse, non all'altezza delle altre due. E la Lancia? C'è, ma pare defilata: la Fulvia HF 1600 è un progetto ormai già rassegnato alla pensione, in quanto è già partito lo studio della formidabile Stratos, ed è anche un modello più datato rispetto alla Porsche 911S, alle Alpine A110 ed alle Ford Escort 1600. Eppure, un giovane direttore sportivo, Cesare Fiorio, ed un motivatissimo Sandro Munari, meravigliosamente navigato dal già citato Mario Mannucci, hanno un'altra idea di quel rally di Montecarlo.

Dell'immagine del Davide che batte Golia a volte si finisce per abusare, ma è proprio quella che rende meglio l'idea. All'inizio si sfogano le Porsche, le più veloci fino a quando il meteo decide di dire la sua: verrà giù talmente tanta neve che a tratti, più che a Montecarlo, sembrerà di essere al 1000 Laghi. Ed in questo contesto, c'è un altro segreto in casa Lancia, ovvero le eccezionali gomme Pirelli da neve, a rendere il trionfo tanto italiano che più italiano non si può: macchina italiana, motore italiano, squadra italiana, equipaggio italiano e gomme italiane. Figurarsi che succede, in un'Italia che a certe imprese non riesce a restare indifferente (i rally in quei tempi avevano un eco ben differente rispetto ad adesso), quando Munari esce allo scoperto e guida da maestro a Le Moulinon, alla terza speciale. Mentre le Porsche arrancano, Munari si prende la scena e balza in testa, con le Alpine che non mollano. La bufera di neve vera e propria si scatena alla prova speciale successiva, e lì sì che diventa difficile: Munari ci prova, fa quel che può ma le vetture francesi si prendono il comando, all'apparenza per non mollarlo più. E invece, succede ciò che non ti aspetti: Munari e Mannucci continuano a dar fastidio, le Alpine non possono restare tranquille, sotto pressione l’armata blu perde via via per uscite di strada o guai tecnici, Jean Pierre Nicolas, Ove Andersson e “Bebè” Darniche, Insomma, nell'ultima notte del 41° Rally di Montecarlo, restano solo Munari, Mannucci, la Fulvia.

All’inizio di quel lontano 1972 c’era parecchio nervosismo, ai piani alti della Fiat. Una decisione andava presa, e molto in fretta, perché le lettere con cui si comunicava ai dipendenti la decisione di chiudere le linee di montaggio della Fulvia erano già state spedite: cassa integrazione, fino a tempi migliori. Che però erano arrivati, improvvisi e inattesi, all’alba del 28 gennaio quando Sandro Munari e Mario Mannucci, la coppia regina del rallysmo italiano, avevano sbancato il Montecarlo e portato la vecchia Fulvia HF 1.6 in cima alla classifica finale, contro tutti i pronostici.

Dal giorno successivo gli ordini avevano iniziato ad arrivare come un fiume in piena. Tutti volevano una Fulvia. E tutti l’avrebbero avuta, perché la Fiat cambiò i suoi piani e riaprì le linee di produzione: dalla cassa integrazione si passò, come per incanto, a cinque anni di lavoro garantito . E la leggenda della Fulvia non avrebbe più avuto fine.

Sandro Munari, Il Drago, è orgoglioso di questo risultato, anche più di quanto lo sia stato della vittoria nel Rally dei Rally, una sorta di campionato del mondo in gara singola. Perché l’aver ridato lavoro e speranza a centinaia di famiglie per lui ha sempre avuto più valore di una coppa. Certo, di Montecarlo ne avrebbe vinti altri, negli anni successivi, aggiungendo al primo successo una fantastica tripletta al volante della Stratos. Ma quello del 1972 è sempre stato considerato da tutti, a pieno titolo, la più grande impresa mai compiuta nella storia dei rally.

Nell’occasione descritta io ero al mio primo importante accredito come fotografo al seguito della corsa e, grazie alla dritta di un meccanico Lancia, quella “notte dai lunghi coltelli” ero appostato a fianco di un pulmino di radio Montecarlo che trasmetteva la diretta, al controllo orario al fondo della discesa del Col de la Couillole e lì al secondo passaggio alle 3.30 di notte con 25 cm di neve ed a -15° si consumò la debacle delle Alpine e Munari e Mannucci passarono in testa alla corsa. Come” testimone del tempo” posso dire: io c’ero

 

 

    Foto Renato Valterza

 

 

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