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Foto di FEDERICO © 2011
Murano e il vetro: un binomio inscindibile. L'antica tradizione vetraria veneziana è più che millenaria ed è stata spostata dalla città alle isole di Murano con decreto dogale verso la fine del 1200 allo scopo di evitare i frequenti incendi che si propagavano dalle fornaci.
Per Venezia divenne di importanza economica così fondamentale che ai maestri vetrai venne impedito, pena la morte, di recarsi oltre i confini della Serenissima, al fine di preservarne i segreti delle sua fabbricazione. Al contempo Murano godette di privilegi unici come la possibilità di battere una sua propria moneta e di opporsi alla giustizia veneziana, per esempio rifiutando a propria discrezione l'arresto di un ricercato.
Nel XVI secolo, all'apice della sua fortuna divenne un luogo frequentatissimo e alla moda, anche come località di villeggiatura: vi furono edificati sontuosi palazzi in cui si tennero memorabili feste che vengono descritte dalle cronache anche come assai trasgressive e svariati eventi mondani. Il costo della vita arrivò a superare di molto quello della città di Venezia, un po' come accade oggi nelle località turistiche più rinomate.
La sorte di Murano e delle sue industrie seguì quella di Venezia, a fasi alterne declinando, ma poi sempre riaffermandosi.
Vedere oggi soffiare il vetro in modo tradizionale, cioè come veniva fatto nei secoli scorsi e non con i moderni strumenti di produzione industriale, è un'esperienza davvero emozionante. Quello che sembra una danza fra i gesti leggeri del maestro vetraio e l'informe sfera infuocata che diventerà per esempio un vaso (come qui illustrato) pare un gioco da bambini. La rapidità, la leggerezza e l'armonia dei gesti fanno passare in secondo piano (ci mediti dopo, quando vedi gli scatti) la tremenda fatica di manipolare materia incandescente in una torrida giornata estiva, senza soluzione di continuità, senza perdere il ritmo della gestualità quasi rituale, avviandosi più e più volte al forno per ravvivare la fusione al fine di non perderne la plasticità.
Non si può veramente capire il valore di quegli oggetti se non li si vede fare e non si può neppure giustificarne il prezzo così elevato se non si vedono le miriadi di gocce di vero – non metaforico – sudore che sono costate all'artefice.
Ma nessun prezzo può ripagare l'aver potuto ammirare quell'espressione di profonda e serena felicità che si struttura in un magnifico sorriso sul viso imperlato di sudore del soffiatore al termine della sua riuscita opera.
E poi la città, dove gigantesche opere in vetro costellano i canali, dove pare che alieni trasparenti si aggirino (stupefatti? minacciosi? o solo curiosi?) fra case e chiese e statue che profumano d'antico.
E quando lasci Murano e vedi allontanarsi la lunga stele bianca di marmo d'Istria del suo faro (che fin dai tempi antichi, semplice torre di legno, illuminava la laguna con un magico gioco di specchi posti a riflettere la luce di un falò) ti par d'aver camminato in una città di vetro, fuori dal tempo, ti par d'aver sognato.
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