MONDOVI' - SANTUARIO VICOFORTE
Il nome deriva dal fatto che il suo nucleo iniziale, chiamato in epoca moderna Rione "Mondovì Piazza", venne costruito su un colle vicino al preesistente comune di Vicoforte: dall'abbreviazione di "Mont ëd vico" ("monte di vico"), sarebbe poi derivato il nome di Mondovì.
È situata tra montagna, collina, e pianura: da un lato, infatti, la città guarda la pianura segnata dal fiume Po che conduce a Torino, distante 90 km, dall'altro è posta su un colle che segna il limitare delle Langhe, la terra del tartufo e dei vini. Mondovì è a 63 km da Savona e dalla Riviera ligure: la separano le Alpi Marittime con le importanti stazioni turistiche per gli sport invernali (Lurisia, Frabosa, Artesina, Prato Nevoso).
La città ha la peculiarità di essere distribuita su più livelli: il rione Piazza, posto sulla collina (559 m s.l.m.) denominata del Monte Regale (da cui il nome dei suoi abitanti), è il nucleo originario; i rioni di Breo, Pian della Valle, Carassone, Borgato e Rinchiuso sono collocati in basso, lungo il torrente Ellero (affluente del Tanaro), ed ebbero il loro massimo sviluppo tra Settecento e Ottocento, con la nascita delle attività manifatturiere, delle fabbriche e l'arrivo della ferrovia; infine il rione dell'Altipiano, ultimo ad essere nato, accoglie la zona residenziale e moderna della città.
Gli abitanti di "Mont ëd vi", ribellatisi al Vescovo d'Asti feudatario del territorio, la fondarono con Monastero e Carassone. Antichi insediamenti romani sono stati rinvenuti in località Breolungi che, in epoca successiva, costituì un importante avamposto bizantino di fronte all'avanzata dei Longobardi, similmente a Morotia (Morozzo) e al Mons Fortis (Monforte). Non a caso, per più di sessant'anni, il limes tra Longobardi e Bizantini, che mantenevano faticosamente il controllo dell'antica provincia della Liguria, fu costituito dai fiumi Stura e Tanaro: un confine che tale rimase per secoli a delimitare la Longobardia Occidentale (poi Piemonte) dalla Liguria.
La città fu fondata nel 1198, dopo la distruzione della città di Bredolo, probabilmente Breolungi, sede di antica contea carolingia. I transfughi si unirono in una nuova comunità, libera dal potere feudale. L'indipendenza della cittadina fu breve, poiché il vescovo di Asti, unitosi al marchese di Ceva, riuscì nel 1200 ad espugnarla e in seguito, nel 1231, a distruggerla.
Risorse nel 1232 e, formando una lega con i comuni di Milano, Cuneo e Savigliano, resistette a un nuovo attacco degli astigiani. Nel 1260 fu occupata da Carlo I d'Angiò, che aveva ormai esteso i suoi domini in gran parte del Piemonte. Fu allora che apparve per la prima volta nella storia il nome di Piemonte, ad indicare i domini angioini situati ai piedi dei monti per chi giungeva dalla Provenza o dalla Lombardia.
Nel 1274 ritornò sotto la sudditanza dei vescovi di Asti.
Nel 1290, dietro pagamento in denaro, ottenne il riconoscimento dell'autonomia comunale. Gli ampi diritti e privilegi sovrani ottenuti dalla città diedero origine al nome con cui essa fu chiamata per tutto il Medioevo, Mons Regalis, donde il nome odierno dei suoi abitanti, "monregalesi".
Nel 1305 iniziò la seconda dominazione angioina alla quale succedettero i Visconti, i marchesi del Monferrato, gli Acaja e, dal 1418, i Savoia. Da quel giorno Mondovì crebbe fino a divenire nel XVI secolo la città più popolosa del Piemonte: vi fu pubblicato il primo libro stampato in Piemonte (1472) e fu sede dell'Università piemontese dal 1560 al 1566.
Una data importante per Mondovì è l'8 giugno 1388, quando papa Urbano VI, con la bolla Salvator Noster vergata a Perugia, a seguito di una petizione presentata dal marchese Teodoro II del Monferrato, costituì la diocesi del Monte Regale.
Ciò avvenne durante lo Scisma d'Occidente e la promozione di Mondovì a sede vescovile fu probabilmente concessa per la fedeltà dimostrata da Mondovì al legittimo papa di Roma, mentre la diocesi madre di Asti era passata all'obbedienza dell'antipapa francese. Tuttavia il vescovo di Asti conservò per alcuni secoli il diritto di elezione del vescovo di Mondovì; ad ogni modo, il vasto territorio tra Stura, Tanaro e Alpi Liguri e Marittime, già appartenuto all'antica diocesi e contea di Auriate, probabilmente distrutta dai Saraceni, fu scorporato dal Vescovado di Asti e acquisì una propria importante identità. Ovviamente la nuova diocesi era suffraganea dell'arcidiocesi di Milano e il nuovo vescovo ottenne il titolo feudale di conte.
La chiesa di San Donato martire, antica parrocchia e pieve del terziere più popoloso, quello di Vico, situata nella parte più alta del Quartiere Piazza, fu eretta a cattedrale. Per la verità, la diocesi giunse alla sua completa estensione geografica tra Stura, Tanaro, Alpi Marittime e Liguri con la bolla di papa Eugenio IV, nel 1440 (Cuneo, con l'antica abbazia benedettina di San Dalmazzo presso il Borgo di Pedona, era già stata aggregata definitivamente a Mondovì due anni prima, il 29 novembre 1438, sempre per decisione di papa Eugenio IV) e con la bolla di papa Pio II nel 1461.
Nel 1537 Mondovì fu occupata dai francesi e con alterne vicende rimase nelle loro mani fino al 1559. Nel 1560 Emanuele Filiberto restaurò il dominio sabaudo sui territori monregalesi.
Un ruolo centrale nella storia di Mondovì spetta alle rivolte contro i duchi sabaudi, note come "le guerre del sale", che si susseguirono tra il 1680 e il 1699. Si trattò di tre insurrezioni consecutive, ispirate da iniziativa popolare, allo scopo di difendere le antiche autonomie e franchigie comunali, negate dal duca sabaudo teso a forgiare uno stato centrale di stampo assolutistico sull'esempio della Francia di Luigi XIV, noto come il "re Sole".
Mondovì si "era data ai Savoia", non era stato conquistata: nell'atto di donazione venivano riconosciuti i suoi "liberi statuti", ora negati dal duca.
Gli iniziali successi furono compromessi dalla nobiltà che, di fronte alla reazione del potere centrale, finì per assoggettarsi alla volontà dei Savoia.
Paesi come Vico, poi Vicoforte dal 1862, Montaldo, Roburent e le Frabose, dove maggiormente si concentrava la resistenza alle truppe sabaude, messe in difficoltà da un'autentica guerriglia favorita dai luoghi impervi, furono devastati e le popolazioni deportate nelle pianure vercellesi al di là del Po, con divieto di far ritorno alle proprie case. Proprio in seguito a questi traumatici e drammatici eventi, Mondovì, che fino ad allora era stato uno dei comuni più popolosi, ricchi e vasti del Piemonte, esteso tra le Alpi Liguri, il Brobbio, il Pesio e il Tanaro, vide il suo territorio smembrato in vari comuni e precipitò in una grave crisi economica che si sarebbe protratta nei secoli successivi.
Mondovì fu occupata nel 1796 dalle truppe di Napoleone Bonaparte. Nei pressi di Mondovì, più precisamente a Cassanio, avvenne anche l'unica battaglia vinta dalle truppe piemontesi durante la campagna napoleonica del 1796. Essa venne combattuta tra un gruppo di Dragoni piemontesi sbandati, circa 300, e una compagnia di cavalleria francese comandata del generale di divisione Henri Stengel.
Le truppe sabaude colsero di sorpresa con alcune cariche di cavalleria i francesi che, credendo di trovarsi davanti l'intera cavalleria piemontese, si dispersero subendo gravi perdite; lo stesso Stengel venne ferito gravemente e trasportato nella cappella di San Paolo (localita Bertoni). Morì nell'ospedale di Carassone sette giorni dopo, pronunciando le parole "Le roi me connaît", interpretata come una conversione al Cattolicesimo, e venne seppellito nella chiesa di San Giovanni in Lupazzanio a Carassone. Tuttavia la tomba fu smantellata durante la successiva ristrutturazione della chiesa nella prima meta del 1800.
Il Monregalese venne devastato dalla riconquista reazionaria nel 1799, allorché le truppe austro-russe invasero il Piemonte, quando si combatté casa per casa, porta per porta; tornò a Napoleone e poi entrò a far parte dell'impero francese (dipartimento della Stura) dopo la decisiva battaglia di Marengo (1800); venne infine restituito ai Savoia nel 1814.
Nel periodo della RSI a Mondovì si stabilì il comando della IV divisione panzer tedesca e un manipolo di SS nella Cittadella, mentre il controllo delle operazioni antipartigiane venne affidato al tenente dei Cacciatori degli Appennini Alberto Farina.
Lo stesso venne catturato a Ceva il 26 aprile 1945 dai partigiani e, in seguito, fucilato assieme alla fidanzata (ausiliaria RSI) e ad altri fascisti locali il 30 aprile del 1945 in piazza della Repubblica (Breo).
Città natale di Giovanni Giolitti, Mondovì è tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione; insignita della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per i sacrifici subiti della sua popolazione e per la sua attività nella Resistenza partigiana durante la Seconda guerra mondiale.
Per ovviare alle difficoltà di collegamento tra la parte alta e quella bassa, nel 1880 venne costruita una funicolare, sulla scia di quelle costruite a Torino verso Superga e il monte dei Cappuccini. Funzionante inizialmente a contrappeso d'acqua, quindi a vapore e infine con motore elettrico, la funicolare è stata chiusa nel 1976. È stata ricostruita e inaugurata il 16 dicembre 2006.
A partire dai primi anni del Novecento, la città si è espansa sull'altopiano fronteggiante la collina, al di là dell'Ellero. Con la localizzazione della nuova stazione ferroviaria sull'altipiano, la città ha visto spostare il proprio baricentro industriale e residenziale verso i nuovi quartieri Altipiano e Ferrone.
SANTUARIO DI VICOFORTE
Il Santuario di
Vicoforte, noto anche come Santuario Basilica della Natività di Maria
Santissima o Santuario-Basilica Regina Montis Regalis è un edificio
religioso situato nel territorio del comune di Vicoforte. Si tratta di una
chiesa monumentale, tra le più importanti del Piemonte, la cui cupola con
sezione orizzontale ellittica risulta essere la più grande di tale forma al
mondo. Ha la dignità di Basilica minore
Il complesso trae le sue origini da un santuario medievale, composto da un
modesto pilone decorato da un affresco quattrocentesco raffigurante la
Madonna col Bambino, eretto da un fornaciaio per propiziare la buona cottura
dei mattoni. Nel 1592, durante una battuta di caccia, un cacciatore di nome
Giulio Sargiano colpì per sbaglio l'immagine della Vergine che, secondo la
tradizione, sanguinò. La realtà vede invece il cacciatore pentito che
appende il suo archibugio al pilone e inizia una grande raccolta di fondi
per riparare il danno ed espiare così il suo peccato. Ancora oggi
l'archibugio è conservato in una cappella del Santuario, accanto
all'affresco deturpato.
Tomba di Carlo Emanuele I
Nel giro di pochi anni questo luogo divenne meta di pellegrinaggi sempre più
frequenti ed attirò anche le attenzioni del duca Carlo Emanuele I di Savoia
che, nel 1596, commissionò la costruzione di un grande santuario
all'architetto di corte Ascanio Vitozzi. Nelle intenzioni del Duca, il
Santuario avrebbe dovuto accogliere i molti pellegrini e diventare in
seguito il mausoleo di Casa Savoia, luogo destinato alle tombe della
famiglia, funzione assunta in seguito dalla Basilica di Superga sulla
collina torinese. Il Vitozzi morì nel 1615, quando la grande costruzione era
stata eretta fino al cornicione, dove sarebbe dovuto essere innestato il
tamburo della cupola. Morto anche il Duca (che volle essere sepolto in
Santuario), a distanza di quindici anni dall'architetto, la costruzione si
arrestò del tutto, lasciando il Santuario a lungo tempo scoperto. Un nuovo
interesse dei fedeli si ebbe nel 1682, quando la Vergine del pilone venne
solennemente incoronata, come ringraziamento del termine della guerra del
sale. Da allora si riprese la costruzione, senza contare più sull'appoggio
dei Savoia (che all'epoca stavano rivolgendo tutta la loro attenzione alla
costruzione della basilica di Superga), grazie all'impegno dell'architetto e
ingegnere monregalese Francesco Gallo che, incoraggiato da Filippo Juvarra,
si cimentò nella grande impresa a partire dal 1728. Sopra il possente
basamento in arenaria, di stampo manierista, venne rapidamente costruito il
tamburo, di evidenti linee barocche, e la cupola, che venne terminata nel
1732. La poderosa cupola ellittica innalzata dal Gallo, alta 74 metri, lunga
37,15 metri sull'asse maggiore e 24,80 metri sull'asse minore, venne
disarmata non senza trepidazione, data l'arditezza della costruzione, tanto
che si narra che dovette andare lui stesso a togliere le impalcature, poiché
nessuno pensava che una struttura di quel tipo potesse reggere.
Controversa fu invece la costruzione dei campanili, quattro secondo il
progetto del Vitozzi. Il primo fu costruito rapidamente, su richiesta della
Madama Reale Cristina di Francia, in visita a Vico (1642), e collegava il
Santuario con il vicino monastero cistercense. Dieci anni dopo vennero
innalzati i due campanili frontali e, per simmetria, anche il quarto,
opposto al primo campanile, che rimase fino al 1830 l'unica torre campanaria
funzionante. All'annosa questione della sistemazione dei campanili si pose
rimedio nel 1880, anno in cui il Santuario divenne monumento nazionale,
quando venne indetto un concorso, al quale partecipò anche, con un progetto,
Alessandro Antonelli. Nel 1884, finalmente, vennero avviati i lavori di
sistemazione, con la costruzione di poderose ed elaborate cuspidi barocche,
riprendenti lo stile di quella posta sulla lanterna che sovrasta la cupola.
Per questioni di stabilità, però, le cuspidi vennero abbattute nel 1906 e i
campanili ottennero la conformazione attuale[2].
Le decorazioni in affresco degli oltre seimila metri quadrati di superficie
furono poi completate nel 1752 da Mattia Bortoloni e Felice Biella; il tema
è quello della Salvezza. Nel 1709 lo scultore Giuseppe I Gaggini assunse
l'incarico di realizzare il monumento con la statua di Margherita di Savoia,
figlia del Duca, terminato nel 1714. Il santuario assunse la forma attuale
nel 1884, quando vennero costruiti i campanili e le tre facciate.
La stazione tranviaria del santuario
Nel 1881 fu inaugurata la tranvia Mondovì-San Michele, la cui fermata
centrale era situata dirimpetto al santuario, agevolando gli spostamenti dei
pellegrini. Dopo numerosi passaggi di proprietà e l'elettrificazione,
avvenuta nel 1923, la linea venne soppressa nel 1953.
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