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Foto: beppe © 2016
IL NOSTRO ANTICO POPOLO DI LEGNO "Il nostro antico popolo di legno", allestimento inaugurato oggi pomeriggio sotto l'alto patrocinio dell'Unesco, rimarrà al Leone fino al 21 febbraio. Tutti i pomeriggi alle 16 i visitatori potranno assistere a spettacoli gratuiti e una visita guidata alla mostra tenuta dallo stesso Niemen, che racconterà aneddoti e curiosità su questi piccoli capolavori. La mostra è realizzata in collaborazione con l'associazione La Rete di Vercelli. Una collezione unica al mondo che comprende antichi burattini, scenografie, copioni e materiali di scena. A portarla al Museo Leone di Vercelli il burattinaio Bruno Eliseo Niemen, 58 anni, uno dei massimi esponenti del teatro di figura piemontese, rimasto sempre fedele, insieme con la famiglia, alla tradizione di Gianduja.
La famiglia Niemen da 7 generazioni rappresenta, nel campo dei burattini, uno dei nuclei storici della migliore tradizione italiana.
Gianduja ha due secoli di vita. Ma sebbene sia stata una maschera gloriosa, una delle icone del nostro Risorgimento, l'immagine che si ha di lui è andata progressivamente svilendosi. Pensando a Gianduja si pensa al carnevale, al vino alla festa, ma l'importanza di Gianduja è di ben altra levatura.
Per ritrovare le radici di Gianduja, bisogna tornare indietro nel tempo, fino agli ultimi anni del '700.
«Omniae un pò! Ha vosciùo scaugià o nomme de Geùrno in quello de Giandoja... ma a tutte e maine, e afigua, afacia a l'è sempre a maexima». Così almeno riporta Marocco nei suoi Frammenti di storia patria, editi a Torino da Botta nel 1867. Sales e Bellone sono ormai talmente padroni del mestiere da concepire spettacoli per essere rappresentati non nelle piazze, ma in teatri chiusi. Possono ritornare a Torino senza il timore di concorrenza. Siamo nel 1807, la maschera che muovono i due burattinai è di nuovo Gerolamo: è una scelta conveniente, perché Gironi è fortemente attestato in città grazie alla memoria di Giòanin d'ij osei. Ma proprio in quello stesso anno, il fratello minore di Napoleone, Gerolamo, viene incoronato rè di Vestfalia: pronunciare in teatro il nome di Gerolamo diventa nuovamente rischioso, troppo facilmente si può incappare nell'allusione caricaturale. E infatti, quando Sales e Bellone mettono in scena una tragedia di Padre Righieri, presentata col titolo Artabano I, ovverossia II tiranno del mondo con Gerolamo suo confidente e rè per combinazione, l'intervento della polizia non si fa attendere e le conseguenze si annunciano pesanti. Verosimilmente Sales chiede protezione alla potente famiglia in cui aveva servito da ragazzine, i conti Amico, e questi, forse in omaggio ai natali di Gerolamo, indirizzano i due burattinai ai De Rolandis di Castell'Alfero, i cui possedimenti comprendevano proprio Callianetto, la patria di Gironi, all'epoca ricca di boschi e quindi luogo ideale per rifugiarvisi. La presenza di Sales a Castell'Alfero è documentata da un'annotazione nel diario di famiglia dei De Rolandis, che riporta la notizia di una visita del burattinaio, venuto per portar loro un'ora d'allegria. I De Rolandis, erano legati a vincoli di amicizia e parentela con gli Amico. Diversi anni prima, nel 1794, Giovanni Battista De Rolandis, protomartire del Risorgimento, aveva ideato con Luigi Zamboni la coccarda tricolore, prima espressione della futura bandiera italiana. In quell'ambiente pieno di fervori unitari, verranno verosimilmente definite meglio le caratteristiche di Gianduja, dato che dal loro rifugio di Callianetto, in quello che da allora in poi sarà indicato come il Ciabòt 'd Gianduja, Sales e Bellone decideranno di sostituire con la nuova maschera il troppo rischioso Gerolamo. Nasce cosi Gianduja, che nel suo nome ha si la doja, il boccale, ma anche [sigioja, e la sua nascita lambisce quella della coccarda tricolore che orgogliosamente farà, in seguito, sfoggio sul suo tricorno, dato che di lì a poco, Gianduja, sarà destinato a diventare una dei principali simboli del Risorgimento. Sales e Bellone tornano quindi aTorino, e in un locale di via Doragrossa (l'odierna via Garibaldi) il 25 novembre del 1808 con la commedia Gli anelli magici, ovverossia Le 99 disgrazie di Gianduja, presenteranno ufficialmente la nuova maschera al pubblico della capitale sabauda. I trionfi si susseguono e Gianduja giunge ad incarnare il più autentico spirito del popolo piemontese. Nel 1848 con la promulgazione dello Statuto Albertino e la conseguente libertà di stampa, nascono i primi giornali satirici, come il "Fischietto" e il "Pasquino", su cui Gianduja agirà da protagonista attraverso la penna di arguti illustratori quali Redenti, Teja, Virginio, Dalsani, Siila, Gonin... Gianduja esce quindi dal teatro dei burattini ed entra in quello della politica, mentre sulle scene di prosa, impersonato, intorno alla metà dell'800 dal grande Giovanni Toselli, accompagnerà la nascita del teatro piemontese.
Dopo l'unità d'Italia, con la conseguente perdita della capitale da parte di Torino, Gianduja diventa l'emblema dei risorti carnevali torinesi. La sua immagine, ridimensionata, si lega allora a quella del vino e delle varie galuperie dolciarie, quali il torrone e soprattutto il cioccolato, in linea con il nuovo ruolo di Torino, non più capitale politica, ma capitale manifatturiera. Dopo la morte di Sales, avvenuta intorno al 1865, molte compagnie adottano definitivamente la maschera di Gianduja: dai Lupi, la maggiore impresa teatrale italiana di marionette, ai più umili, al confronto, burattinai girovaghi. Tra questi figurano i Niemen: le loro imprese sono a semplice conduzione familiare, ma è proprio la famiglia il loro punto forza, essendo i Niemen una delle dinastie di burattinai tra le più ramificate. E ancora oggi direttamente dall'Ottocento portano sulle piazze d'Italia la salacità di Gianduja di Callianetto, mantenendo viva una tradizione plurisecolare.
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